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RECENSIONI APRILE 2025

  • Immagine del redattore: ascensionmagazine
    ascensionmagazine
  • 3 ore fa
  • Tempo di lettura: 4 min

BLIND ALLEY “Live Tuxedo 1982”

(lp, Onde Italiane)

 



Dopo oltre trent'anni, ma lo aveva già fatto nel 2012 con la splendida compilation “Blind Alley 1980-1983”, l'etichetta Onde Italiane rende omaggio a uno dei gruppi mito della scena underground torinese: i Blind Alley del tenebroso, mai troppo compianto, Gigi Restagno (poi nei Deafear e in altre storie wave, punk, post-punk e psichedeliche del capoluogo sabaudo). Etichettati come un gruppo “mod”, non sono io il primo ad averlo detto, i Blind Alley erano più avanti di chiunque altro per sottostare a un marchio da centro commerciale. In questo album, registrato dal vivo nel 1982 nell'altrettanto leggendario Tuxedo di Torino, assaporerete tutta la loro grinta e scoprirete perché “tutto questo non era solo mod”, ma anche post-punk, new-wave, viscerale rock d'avanguardia prima che ne fosse coniato il termine. Una storia breve quella del gruppo sabaudo, ma quanto è bastata per creare un mito che, ascoltate il disco, non morirà mai. (Recensione a cura di Alex Daniele)

 

 

L.A. WITCH “DOGGOD”

(cd/lp, Suicide Squeeze)

 



“DOGGOD”, ehm, “una bestemmia di titolo”, è il terzo album di queste tre streghette californiane con il vizio di citare come influenza i Gun Club. Il disco è piacevole ma, perdonatemi, non bestemmiamo una seconda volta tirando in ballo l'icona della band di Jeffrey Lee Pierce. Sì, una certa vena blues-rock malata alla Gun Club, come in “SOS” o “Icicle”, emerge timidamente in superficie ma, vuoi la voce femminile, in tutto questo ci sento molto più della Lydia Lunch di “Honeymoon In Red”. Involontariamente le tre streghe, causa sempre il titolo dell'album, mi hanno già fatto bestemmiare abbastanza. E se a questo aggiungiamo che ho anche citato il nome di due artisti, Gun Club e Lydia Lunch, che non possono essere presi come esempio a inno al cristianesimo, ehm, “la frittata è fatta”. Ma “DOGGOD”, cosa più importante di tutte, vale più di un ascolto. Post-punk sensuale, perverso, lento, non malato ma malatissimo, più “erotico” che “gotico”. Una sfiziosa alternativa “old-school” per chi non ama troppo il moderno dark da intelligenza artificiale. Ripeto: ascolto consigliato. Pezzo consigliato: “The Lines”. (Recensione a cura di Alex Daniele)

 

 

ROSETTA STONE “NOTHING IS SACRED”

(CD/LP, Cleopatra Records)

 



Niente è sacro per sempre. I Rosetta Stone, ai tempi in cui Porl King era coadiuvato al basso da Karl North (e prima ancora poteva contare sulla seconda chitarra di Porl Young), erano per me la quintessenza del gothic-rock britannico. La successiva parentesi solista di King come Miserylab mi aveva affascinato altrettanto. Ma, ripeto, purtroppo niente è sacro per sempre. Già da qualche tempo, con la complicità dell'etichetta americana Cleopatra, Porl King ha ripreso a stampare dischi su dischi a nome della “Stele di Rosetta”, lavori mediocri (contenenti o pezzi nuovi rimandanti al progetto Miserylab o vecchi demo di una qualità sonora pessima). Oggi esce “Nothing Is Sacred”, la seconda raccolta di cover a nome Rosetta Stone dopo “Unerotica” del 2000. Venticinque anni dopo, con Porl che riprende classici di Blue Öyster Cult (il pezzo non poteva che essere “Don't Fear The Reaper”, molto meglio nella versione di Lydia Lunch con Clint Ruin), Soundgarden, Beatles (“Tomorrow Never Knows”, forse il brano meglio riuscito con “Sweet Emotion” degli Aerosmith), Fleetwood Mac, Stone Temple Pilots, Black Sabbath e Hawkind, ebbene sì, “non c'è più nulla di sacro”. Stupenda la copertina dell'album, ovvero l'esatto contrario del suo contenuto sonoro. Sorry! (Recensione a cura di Alex Daniele)

 

 

DECEITS “If There’s No Heaven”

(lp, cd / Young & Cold Records)

 



Come già fatto per diversi altri artisti (il caso più recente era stato quello degli spagnoli Darkways) prosegue l’opera di “recupero” della label tedesca Young & Cold Records, per dare maggior evidenza a dischi usciti qualche anno fa e passati un pò sotto silenzio. E’ ora la volta degli americani Deceits, che con “If There’s No Heaven” ci offrono un buon lavoro, all’insegna di una darkwave assolutamente melodica e non particolarmente cupa. Per descrivere il disco, userò le stesse parole della label: “Too romantic for the punks, too fierce for the goths. We play passionate post-punk”. I Deceits citano tra le loro ispirazioni The Cure, Sad Lovers & Giants, The Chameleons e Danse Society…. Stando ai nostri giorni si notano influenze di Twin Tribes ed House of Harm… il risultato sono otto tracce che pur senza dire niente di nuovo si fanno comunque apprezzare. (Recensione a cura di Giorgio Brivio)

 

 

 

CLOSED MOUTH “After the Tears the Fury”

(lp, cd / Icy Cold Records)

 



Ennesimo album per Closed Mouth, progetto solista, particolarmente prolifico, di Yannick Rault, che disco dopo disco, ha consolidato la sua posizione all’interno della galassia darkwave/post-punk. Le dieci tracce che compongono “After the Tears the Fury” non si discostano da un guitar-sound cupo, in bilico tra The Cure e Joy Division, che seppur derivativo e tutto sommato monolitico nel suo succedersi album dopo album, riesce ancora a colpire e convincere. Tra i brani, “Drowning In Silence”, “Her Love a Shadow”, “Tomorrow”. Per gli amanti della darkwave e del gothic, Closed Mouth è ormai una garanzia! (Recensione a cura di Giorgio Brivio)

 

 

 

PETER MURPHY “Silver Shade”

(lp, cd / Metropolis Records)

 



Tralasciando i “live”, bisogna risalire al 2014, anno di pubblicazione di “Lion” per trovare l’ultimo “studio-album” di Peter Murphy. Il godfather del goth torna con “Silver Shade”, disco (prodotto da Youth dei Killing Joke) articolato in dodici tracce che ci restituisce un artista in ottima condizione, sia dal punto di vista vocale che da quello del songwriting. Sulla voce c’è poco da dire: magnetica e sensuale come sempre; bene anche la musica, con diversi brani degni di menzione, concentrati (per quanto mi riguarda) soprattutto nella prima metà del disco: dall’iniziale “Swoon” (un riuscito mix tra synth-punk e funky), per passare attraverso “Hot Roy”, la (bowiana) title-track, “The Artroom Wonder” e “Meaning of my life”. Chiude il disco (presente nel formato cd e digitale), “Let the flowers grow”, il duetto con Boy George rilasciato sul finire dell’anno scorso, che per quanto mi riguarda è forse l’episodio meno interessante dell’album. Nel complesso, un ritorno ampiamente positivo per uno dei colossi della scena gotica. (Recensione a cura di Giorgio Brivio)

 

 
 
 

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