Intervista | CCC CNC NCN
Abbiamo fatto quattro chiacchiere con CCC CNC NCN - il gruppo "non ha mai dato di sé un'identità privata" eliminando i nomi degli autori e apparendo nei loro concerti con passamontagna e maschera antigas.. - I fondatori storici del collettivo torinese ci parlano della loro storia, del nuovo disco "Rafting Sonoro Nelle Correnti Elettromagnetiche" appena uscito, e di tante altre cose.....
Torino primi anni '80. Città simbolo dello sviluppo industriale italiano, protagonista dello scontro sociale e testimone delle sue conseguenze.
In questo contesto, quali erano le vostre prospettive?
Come nacque la volontà di dare vita al vostro progetto? E Quali le urgenze che sentivate il bisogno di trasmettere?
Negli anni ‘80 la Torino del riflusso era scossa dal fermento punk, una delle città con più gruppi in assoluto del panorama italico, dalla fine di quegli anni e dalla fine del Kollettivo ( una banda punk nata nell’81, che proprio perché banda a differenza di altri, venuto a mancare uno dei suoi membri decise di terminare le trasmissioni) nel 1985 nasce l’esigenza di superare l’estetica dell’hardcore ( o meglio dell’anarcopunk) mantenendone l’etica.
Il suono cambiava, cambiavano gli strumenti, ma rimanevano invariati lo spirito e il contenuto.
Era un percorso che sembrava del tutto consequenziale: prima non sapevamo suonare chitarre e bassi, e poi non sapevamo suonare bidoni e lamiere, ma già nel 1983 con Kollettivo si era sperimentato un nuovo modo di interagire con il pubblico, il superamento del concerto che veniva sostituito dalla performance.
Il contenuto è sempre stato il motore ispiratore del contenitore, nulla è mai stato fine a se stesso, lo stimolo creativo veniva fuori da situazioni contingenti, di attualità, di lotta, di pensieri precisi o a volte confusi, di delusioni e di rabbia, ma sempre legate al nostro vissuto quotidiano, con il pensiero sempre rivolto alla rivolta.
La necessità di comunicare e di sostenere le situazioni “altre” era parte del percorso di crescita di ognuno di noi, facevamo parte, indipendentemente dalla musica, di percorsi antagonisti, di produzione e distribuzione di libri, fanzine e dischi, che diffondevano idee che con il passare degli anni si sono mosse verso quello che è poi stato il movimento che ha portato alla nascita degli squat torinesi.
In genere ai gruppi musicali viene sempre chiesto quali siano state le influenze originarie del proprio suono. Ora, conosciamo l'esperienza pregressa di alcuni di voi nel gruppo punk hardcore "Kollettivo" ma vorremmo conoscere qualcosa di più, se possibile, del vostro background artistico- culturale e delle vostre passioni giovanili, e come queste siano confluite nel progetto collettivo CCC CNC NCN. E ancora: quali di queste sono rimaste con voi tutt'ora? Oppure quale eredità hanno lasciato?
Come dicevamo prima il nostro suono è semplicemente la conseguenza di quello che c’era prima, nel corso degli anni il suono devastante del punk è stato anch’esso digerito e restituito al grande pubblico, il recupero ha vinto sul suono, ma non sul contenuto. Molti gruppi, anche della nostra città, hanno fatto scelte che hanno portato il punk nella direzione da cui era scappato all’inizio: col passare del tempo la tecnica aveva sovrastato l’idea, il gruppo era valido se suonava bene , se aveva tecnica, se era orecchiabile, se ammiccava al suono sdoganato dalle classifiche, c’è stato chi ci ha provato ( fallendo miseramente) ad agganciare il mainstream. Ma in tutto questo lo “spirito” punk dov’era finito? Sdoganato il suono il resto è andato perduto, e dove è rimasto il contenuto il contenitore era una riproposizione del già sentito che nulla aveva di sbalorditivo.
Abbiamo ritrovato la gioia distruttrice potendo utilizzare strumenti che erano la negazione stessa del concetto di “strumento”: qualunque cosa ha un suono e noi volevamo proporre esattamente quello, volevamo ancora stupire, e ancora prima stupirci, quando ascoltavamo cose a cui le nostre orecchie non erano preparate, volevamo vedere cose che i nostri occhi non avevamo mai visto prima, volevamo provare sensazioni non ancora sperimentate. Questo è sempre stato quello che ci ha mosso negli anni. Non pensiamo di esserci sempre riusciti, ma di sicuro ci abbiamo sempre provato.
Abbiamo sempre cercato di fare cose che non c’erano e per farlo abbiamo cercato di coinvolgere persone che provassero le nostre stesse emozioni, come nelle esperienze precedenti non cercavamo bravi musicisti, ma ottime persone con cui condividere non solo un suono, ma un percorso di vita, di emozioni impagabili che ci lasciassero un segno indelebile nelle nostre coscienze per cui da due siamo diventati quattro poi sei, poi trentacinque. Con alcuni abbiamo condiviso percorsi più lunghi e duraturi, con altri anche solo l’emozione di un momento. Questo è anche uno dei motivi per cui i nostri volti e le nostre fattezze non sono importanti e usiamo passamontagna o mascheroni, non vogliamo che la gente ci ricordi per “chi” siamo, ma per “cosa” siamo, dietro quelle maschere ci può essere chiunque, ancora una volta il contenuto è più importante del contenitore.
Ci piacerebbe ancora stupirci, trovare qualcuno che sappia coniugare idee e passione con la forza distruttiva e creativa che solo la gioventù ti sa donare, ma non siamo noi a doverlo fare, lo scrivemmo già in Spiralia nel ’93 … ma stiamo ancora spettando.
La nostra attesa sta diventando infinita.
Mi parlate un po' della genesi di Radio Rafting Nelle Correnti Elettromagnetiche....
Nel ’92 prendemmo parte alla creazione di Radio Blackout, entrammo da subito a far parte della redazione e curavamo un paio di trasmissioni alla settimana più altre sporadiche apparizioni mattutine ( quasi After direi…) era un momento molto importante per la città, centri sociali e squat erano numerosi ma scollegati tra di loro, la radio contribuì sicuramente a creare un movimento unico che li metteva in contatto nonostante le divergenze di vedute, in quegli anni divenne la radio più importante a livello cittadino perché le altre radio “libere” storiche della città erano praticamente inesistenti o avevano chiuso i battenti.
Ci sembrò un’occasione unica e stimolante come non mai e con la radio all’epoca ci giocammo già, in quegli anni realizzammo SPIRALIA che uscì solamente in radio. Facemmo poche copie in cassetta che inviammo gratuitamente a tutte le radio di movimento ( e non solo) chiedendo di trasmetterla per intero senza interruzioni in modo che gli ascoltatori avrebbero avuto la possibilità di registrarsela direttamente e gratuitamente.
25 anni dopo ci è stato chiesto di fare qualcosa per la ricorrenza: dovendo suonare per la radio abbiamo pensato di suonare le radio.
Il progetto prevedeva di suonare le radio, che venivano registrate e ritrasmesse in diretta attraverso le frequenze di Radio Blackout creando un loop senza fine di radio che ascoltavano radio e trasmettevano radio, il tutto con le interferenze delle radio che chiedemmo al pubblico di portare da casa. Un soundclash di radio ad oltranza alla ricerca della trenodia perfetta.
Da li sono nati i vari brani che poi abbiamo realizzato per gli spettacoli replicati in spazi occupati e in combutta con le varie radio di movimento che ci prestavano le loro frequenze. Dopo due anni siamo riusciti a metterle su tracce digitali (durante le nostre pigre sessioni di registrazione che a volte appunto durano anni…) con ulteriore fatica siamo finalmente riusciti a fare un mastering soddisfacente e poi… è scoppiata la pandemia.
Abbiamo allora deciso in quel momento di farlo uscire comunque in download gratuito, quando finirà il lockdown provvederemo a farlo stampare in cd e vinile.
CCC CNC NCN è sempre stato uno di quei gruppi che fin dagli anni '80 (e penso al Manifesto degli SPK o ai quesiti filosofici dei nostrani Tasaday) ha avuto interesse nell'inserire lunghi manifesti programmatici assieme alle composizioni musicali. Questa tendenza sembra essere scomparsa al giorno d'oggi con il crescere delle pubblicazioni di musica sperimentale più o meno variegata. Per voi il mezzo è il messaggio? O c'è qualcosa ancora di più?
Ti abbiamo già un po' risposto in precedenza, siamo sempre intrepida attesa di qualcosa che ci stupisca, molte volte chi fa musica si arrotola su se stesso, può essere anche bello il mezzo ma non vedo il messaggio. Noi siamo sempre partiti con un approccio non da musicisti, ma da persone che si sono sempre interessate alla vita politica e sociale, il nostro percorso non parte dalla musica, ma vi approda. Ci sono stati periodi in cui abbiamo prodotto cose che non contenevano neanche una parola, ma le emozioni che le avevano ispirate partivano sempre da una sensazione dettata dal vissuto e non dall’estetica. C’è sempre qualcosa in più, se non ci fosse non farebbe parte di CCC CNC NCN, il contenuto è quello che ci stimola al confronto e alla costruzione dei percorsi sonori. Un brano è la colonna sonora delle idee.
Esiste ancora una possibile forma di poesia che sia socialmente impegnata al giorno d'oggi (penso al testo di Spiralia per fare un esempio)?
E la vostra forma di protesta come si rapporta con il mondo d'oggi? È cambiato qualcosa nell'approccio comunicativo?
Vedo poco di stimolante in questo periodo, ci lamentavamo del riflusso degli anni ‘80 rapportato al fermento dei ‘70, ma il nuovo millennio non ha portato molti stimoli o intuizioni di cambiamenti radicali, si ripropone quello che si è già visto, si rimastica e si risputa in eterno, si tenta di stare a galla anziché solcare i mari, non sappiamo cosa si potrebbe fare, non dovremmo essere noi a dirlo, noi proponiamo quello che sappiamo fare e con il nostro metodo, vorremmo trovare qualcuno che ci possa dire che c’è una strada diversa, vorremmo trovare qualcuno che ci possa dare una nuova scossa. Non possiamo fare le stesse cose che facevamo 30 anni fa, siamo sempre gli stessi ma non siamo più come allora, il nostro bagaglio di vita e di esperienze non è più lo stesso, il nostro approccio alla vita è cambiato, di conseguenza anche il nostro approccio alla comunicazione, forse siamo più riflessivi che istintivi, disillusi anziché idealisti. Forse a volte ci manca quell’ingenuità che è classica delle menti giovani, ma che è carica di energia creativa indissolubile.
Nella musica tradizionale, quella prettamente melodica e armonica, potrebbe essere più semplice comprendere quando si ottiene una forma finita. Nella musica sperimentale invece questo è tutt'altro che scontato; per cui quando si riesce a comprendere che il brano è finito?
Quanto conta la formazione e tecnica musicale rispetto all'improvvisazione e l'istinto?
Ogni brano non è mai finito finché non lo fissi su un supporto e gli dai dignità di esistere.
La musica liquida, la musica digitale ha una grossa qualità che è quella che ti permette di modificare all’infinito ogni singolo battito, ma è anche controproducente perché non hai limiti né di supporto né temporali e questo non sempre aiuta, anzi.
Nel mondo analogico si registrava quando tutto era pronto, e sovraincidevi le cose ma non troppo, i nastri magnetici li giuntavamo con dello scotch per fare i cut up, le prime cose le incidemmo con più registratori a cassette a due piste messi in serie, quando arrivò il primo quattro piste ci sembrò la rivoluzione. Poi passammo ad un 8 piste 1/4 di pollice tarato male con le tracce che si sovrapponevano… ( “suicidio” fu registrato così).
L’istinto è quello che ci ha sempre guidato, la tecnica non ci è mai appartenuta anche se non ne facciamo una bandiera, facciamo quello che riusciamo a fare, come ti abbiamo già detto ci siamo sempre circondati di persone più che di musicisti, gente con cui condividere pezzi importanti della nostra vita.
Se un tempo si diceva che ognuno di noi avrebbe avuto il suo quarto d'ora di fama, i CCC CNC NCN invece hanno sempre preferito l'anonimato e la maschera. Perché questa scelta così radicale?
Oggi, è cambiato qualcosa?
A questo ti abbiamo già risposto prima.
La performance continua ad essere il nostro punto massimo di espressività. Possiamo impiegare mesi per mettere a punto delle basi, ma il momento dal vivo è sempre unico e irripetibile, e porta a compimento tutto ciò che è stato orchestrato precedentemente. Come interveniamo, come interagiamo tra di noi, come rispondiamo agli stimoli degli altri e del pubblico, è sempre un'incognita straordinaria, e si realizza compiutamente solo durante le performance dal vivo.
Per quanto riguarda le azioni, prima di iniziare abbiamo giusto un'idea di massima di cosa succederà, e grandissimo spazio è invece lasciato all'improvvisazione.
Il fatto di essere mascherati ci offre una grandissima libertà, perché ci permette di compiere qualsiasi azione non nel nome di un personale esibizionismo o narcisismo, ma strettamente in funzione della performance, del genuino bisogno di ognuno di esprimersi, ma sempre in strettissima sintonia con gli altri.
Il problema non è mai stato chi, ma cosa.
Chi era importante per noi all’interno, le nostre relazioni, le nostre emozioni. Nei confronti dell’esterno era importante il messaggio che ne scaturiva. A volte non conoscere chi dice cosa ti permette di avere una visione razionale e non filtrata da preconcetti.
Un'ultima domanda su una vostra esibizione dal vivo, che, a mio avviso, è rimasta particolarmente sentita: il Traffic Torino Free Festival edizione del 2005. I vostri concerti sono sempre stati qualcosa di molto particolare e coinvolgente. Al Traffic, com'è stato dover orchestrare tutti gli attori coinvolti, compreso il pubblico, un'esibizione comunque complessa nel suo risultato?
Riusciremo ad assistere ancora a qualcosa di simile?
Al Traffic Torino Free Festival lo spettacolo era BETONBE ed eravamo in 35! Quando organizziamo queste performance sappiamo da dove partiamo, ma molto di quello che succede è dato dalla situazione del momento, quella del Traffic fu particolarmente complicata, ognuno aveva delle mansioni ma a parte alcuni punti cardine nei movimenti e i pezzi suonati, si lavorava praticamente solo su un canovaccio che dava delle indicazioni. Sono stati tutti bravissimi e il risultato è stato meraviglioso, un po’ come successe nel ’91 nello spettacolo NEL NOME DEL NOM realizzato alla Lega dei Furiosi e anche li c’erano una trentina di persone coinvolte.
(NdA: La lega dei Furiosi era uno spazio che veniva occupato per l’organizzazione di eventi sporadici in pieno centro di Torino sulle rive del Po, che prese quel nome perché li dentro si organizzò la prima edizione de LA LEGA DEI FURIOSI che era uno strumento di diffusione e distribuzione delle etichette indipendenti e antagoniste degli anni ’90)
Sono stati eventi unici, irripetibili, difficili da replicare perché il contesto e le condizioni, le persone coinvolte e le motivazioni non sono replicabili.
Sono successi li e in quel momento e di quei momenti abbiamo goduto e ce ne portiamo appresso un ricordo indelebile marchiato a fuoco nella nostra essenza.
Un grazie particolare a Isa Etoile per l'aiuto...
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