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INTERVISTA: Daniele Santagiuliana (TESTING VAULT)


Daniele Santagiuliana è un artista a trecentosessanta gradi. E dell'artista ha soprattutto lo spessore morale, che manifesta nella sua assenza di spocchia. La sua però è una moralità che spesso lo porta a scontrarsi con il mondo moderno che a quelli come lui non perdona niente. Personalmente apprezzo di lui il coraggio con cui si mette sempre in gioco, la sua voglia di non nascondersi anche davanti a momenti di difficoltà, il suo spogliarsi di ogni velleità narcisistica e soprattutto la sua presenza costante nei confronti delle persone che lo conoscono, cui non fa mai mancare un pensiero.

Daniele, guardando al passato ed in parte anche al presente, rifaresti le stesse scelte che hai fatto fino ad oggi? Non pensi che mascherando almeno in parte questo tuo lato "estremamente sensibile" e facendo un po’ di più il figlio di puttana avresti potuto raggiungere altri traguardi?

Oh sì. Sono certo che con un atteggiamento più freddo e stronzo, molti ostacoli sarebbero superabili in maniera molto più agile, siano essi di natura artistica e mettere un piede nella porta di gallerie, riviste ed etichette discografiche, così come di natura emotiva, bloccando sul nascere sentimenti negativi verso me stesso che non dovrei avere. Ammetto che, specie nell’ultimo anno, mi sarebbe servito essere più distaccato e calcolatore – e, perché no, anche stronzo. Ma prendo nota di chi non si comporta bene con me – e lo tengo a mente. Una volta ero più permaloso e nutrivo astio nei confronti di queste persone. Ho cominciato a disinteressarmi di loro, e va bene così. Non vale neanche la pena di spendere troppe energie per chi ti ha ferito.

Riguardo alle scelte in generale… forse avrei lasciato meno perdere la pittura e mi sarei concentrato su di essa anche anni fa, ma non ce la facevo – ero mentalmente troppo debole, così per la musica… ho cominciato il mio vero percorso adulto dal 2011 in poi, da lì ho recuperato più forze e mi sono alzato in piedi. Forse vorrei essere meno sensibile con chi mi ha ferito e meno duro con me stesso. Certo in realtà sono ancora “estremamente sensibile” ed a livelli quasi autopunitivi come stile di vita e nel ruolo di “direttore artistico” di me stesso. Dunque chiunque mi stia sul cazzo può tirare un sospiro di sollievo, è tutto come al solito. Ma la mente si muove. Al momento ho finito 4 album da solo, uno con Joshua (Cult Of Terrorism), ho scritto la soundtrack per un cortometraggio inglese, e realizzato quasi 70 dipinti in meno di sette mesi. Non posso lamentarmi.

Ricordo una tua video intervista dove dovendo descriverti parlasti di te come "un musicista che fa rumore" [questi mi pare fossero i termini con cui ti esprimesti]. Oggi ad alcuni anni di distanza sei ancora fermo su questa posizione o ti senti diverso da allora? E se sì in che cosa?

Dio, quella domanda. Non ero pronto e credo si vedesse. Cambierei risposta ogni volta che mi fanno quelle domande immediatamente – qui non lo farò però, prometto che scriverò quello che sento. A dire il vero credo siano le persone che ti ascoltano, che guardano le tue opere, a doverti definire. Finora sono stato definito in maniera lusinghiera come illustratore, artista e musicista, e ciò mi rende molto orgoglioso – arrivare a far sì che qualcuno si emozioni e non rimanga indifferente di fronte a ciò che faccio è più che importante. Ora “aggiornerei” la risposta che diedi… non perché io sia maturato, ma perché… sento che sarebbe più esatto definirmi “una persona che sta cercando di comunicare qualcosa” – e quel qualcosa si nasconde nei dipinti, nelle canzoni, nella grafica, nei titoli delle canzoni… ed in modo contorto, sto cercando di rendere partecipi le persone intorno a me di questo.

Di tutte le discipline in cui ti cimenti oggi duemilaventi, quale pensi possa essere quella che riesce a descriverti meglio, quella con cui pensi di far arrivare una quota maggiore del tuo intimo sentire?

Vorrei dire che la pittura ha ripreso mano nella mia vita in modo estremamente pesante, e sarebbe la verità, ma è vero che… in realtà il tutto risulta complementare quando lavori con media differenti. La fotografia, la pittura, la musica… fanno un bel pacchetto. Credo che chi potesse scoprire le mie cose, non si annoierebbe – questo mi concedo di dirlo!

Nessuna di queste discipline prevarica l’altra – sono complementari ed uniche nel momento in cui le eseguo.

Sempre tornando a quell'intervista, parlasti della necessità di realizzare dischi che andassero in direzione contraria al facile riconoscimento. Parlasti di dischi "pavidi" che non avevano motivo di esistere. Sono passati alcuni anni, pensi che questo clientelismo sia ancora diffuso o possiamo cogliere in giro qualche esempio di ribellione allo status quo di cui si parlava?

No, la ribellione in larga scala e gli “-ismi” sono quanto di più vuoto ci sia ora, sono sullo stesso livello. Non è che non ci siano musicisti brillanti, anzi – ma sono l’eccezione, non la regola, anche per il genere più di nicchia esistente. Basti pensare appunto ad un album come “Amnesia Milk”: ha l’estetica post-industriale?, no. Ha un concept che potrebbe attrarre gli affezionati del noise?, figurati! Ha le sonorità legate quantomeno alla scena? Eh… non esattamente. E quindi tre punti su tre, sei fuori. Nicchia della nicchia. Il punto è fregarsene se sai che è la cosa giusta quella che stai facendo – che sia giusta per te. Per quanto i feedback esterni siano di vitale importanza, è proprio la sincerità totale che renderebbe molti più prodotti “pavidi” agli occhi ed alle orecchie degli ascoltatori. La sincerità paga, almeno sotto questo punto di vista.

Ma gran parte degli ascoltatori per primi sono rimasti fermi ad una estetica e a delle sonorità di 30 anni fa. Non lasciano respirare per nulla chi cerca di portare qualcosa di differente.

Pensa a “Blue Rabbit” dei Sutcliffe Jugend: disco ORA apprezzato ma quando uscì 6 anni fa passarono la mano quasi tutti gli aficionados della band. Non era rumoroso, era parlato, non aveva distorsioni, ma rumori concreti… cos’era quella novità? I Ramleh sono stati fantastici nei decenni a proporre con lo stesso nome due generi così differenti da abituare i fan – ma ancora, a distanza di 35 anni, non li hanno abituati tutti. Stessa sorte per “The Deluge”.

Di gente diversa ce n’è – basta essere un po’ curiosi e non accontentarsi!, il bello della musica e di chi la ascolta dovrebbe essere un entusiasmo enorme nel trovare qualcosa che ti piace e tuffarsi, notare le variazioni di genere e stile e capire cosa preferisci… ma in troppi si fermano ai grandi nomi, alle releases storiche, e se ne sbattono delle altre. Gli artisti possono fare poco sotto questo punto di vista – sta all’ascoltatore.

Passiamo a Testing Vault - The Night Land (Hellbones Records), la tua ultima fatica musicale....

Hai parlato di feedback esterni, quali sono stati nella composizione dell'album?

“The Night Land” è stato il primo disco che ho composto da adulto solo. Negli ultimi 18 anni non sono mai rimasto da solo – per una ragione o l’altra avevo sempre una compagna. La percezione del me adulto e solo è stata il primo pensiero a far scattare la molla, assieme a gli elementi letterari e cinematografici espressi apertamente nell’album… ma il conoscere me stesso così dopo tutti questi anni, mi ha spaventato e sorpreso, per fortuna, in positivo.

Le tue fonti sonore spesso sono organiche: come mai questa scelta?

Amo moltissimo artisti che creano cose con poco e nulla, come Ghèdalia Tazatrés, Anna Homler, Angus MacLise… hanno realizzato mondi e concept sonori che si possono vedere, una sinestesia totale: e lo hanno fatto cantando parti vocali commoventi in un taxi di notte in una cassettina, o suonando nel loro appartamento con gli strumenti che le persone gli portavano per fare una jam session… questo tipo di forma mentis dimostra come i limiti siano in gran parte una gabbia mentale – se si ha l’equipaggiamento per registrare, il resto vien da sé. E mi piace realizzare che nei suoni microscopici si possano nascondere mondi da sezionare e scoprire, alterare o far diventare enormi. C’è una fascinazione di fondo insomma nel rendere interessanti o suggestivi suoni che durante la giornata non ti direbbero nulla.

Leggevo la recensione del disco sul sito di Metalhead: diceva che "nell'album non é contenuta alcuna musica, almeno secondo il concetto standard della stessa"

...secondo te esiste un concetto standard di musica?

Sì, sicuramente, almeno per quanto riguarda la forma canzone. Esistono formule matematiche perfette non solo per come deve essere scritta una canzone nella sua struttura, ma anche negli accordi se si volesse. La mia musica sembra molto astratta di sicuro per chi ha un background comunque di musica non “astratta”, ma esattamente come quella corrente artistica… c’è un senso dietro tutto ciò.

L’unica cosa su cui potrei dissentire, è sulla mancanza di “musica standard”, in realtà credo che almeno le tracce 4, 5 e 6 siano tutte legate da una specie di respiro da musica sperimentale che deve molto per esempio a Christopher Chaplin, il suo “Je Suis Les Tenebreux” è uno dei miei album preferiti usciti negli anni recenti, e… Scott Walker, Tony Conrad, John Cale, il Theatre Of Eternal Music. Insomma c’è un approccio musicale “standard”, solo, fuori dalla “canzone cotta e mangiata”!

Hai citato i riferimenti letterari/cinematici dell'album... i riferimenti sono estetici o estatici?

In “The Night Land”, entrambe le cose. Una suggestione visiva è connessa ad un suono, e se trovo una corrispondenza, allora le voglio unire a modo mio. Senza troppo “scopiazzare” o prendere a piene mani dalle opere altrui – di “The Night Land” ad esempio apprezzo moltissimo il concept di base e le descrizioni della piramide e del cielo fuori, animato da non meglio precisate creature dagli occhi grandi come stelle… ma la storia d’amore e la delineazione del personaggio sono agghiaccianti e scritte in maniera molto approssimativa. Così “On The Silver Globe” è rimasto ahinoi incompleto, pur avendo sequenze incredibili e visionarie come pochi altri film al mondo. Certe cose risuonano dentro di te, e dall’estetica trai il tuo senso estatico attraverso il suono. Non è una novità che io non ricordi quasi nulla delle sessioni di registrazione, è quello il punto. Diventi quel suono, quella vibrazione. Il quinto stato della materia in fondo pare sia simile proprio a quello della vibrazione, dell’onda sonora. Ed amo potermici tuffare dentro.

Solitamente però non uso mai riferimenti ad opere altrui – di solito partorisco anche i concept. Questa volta ho fatto una eccezione però.

Quali sono le tue influenze musicali, cosa ascolti di solito?

I miei ascolti cambiano molto, vado a periodi “monografici” e mi perdo dentro certe discografie, anche riscoprendole magari dopo anni in cui non le ascoltavo… in questo periodo sto rispolverando i Nine Inch Nails grazie ai due dischi strumentali che Reznor ha donato al pubblico durante la pandemia, e posso decisamente dire che rientrano tra le mie influenze: portare avanti un progetto da solo, l’usare lo studio di registrazione come uno strumento, è davvero molto importante nella mia visione delle cose, che ben si sposa con Nurse With Wound, Cyclobe e Coil, altri progetti che amo, ascolto e mi hanno influenzato enormemente. Per il resto al momento sto ripassando i primi 4 album di Klaus Schulze, amo alla follia Thelonious Monk ed il suo “Misterioso”, poi butto nel calderone anche Arca, i Residents, Moondog, Culver, Haare, Black Mountain Transmitter, Mercury Rev, Matmos, Alan Lamb… insomma, non ho una playlist fissa, mi piace variare moltissimo e di volta in volta magari stupirmi ed amare un album nuovo che avevo lasciato indietro, o cercare di intuire delle tecniche di produzione ascoltando le registrazioni… mi tengo occupato, peccato sia una pratica costosa comprare dischi, ma mi limita nel non esagerare forse con troppa roba non avendo disponibilità economica!

https://hellbonesrecords.bandcamp.com/album/testing-vault-the-night-land

https://bandcamp.com/tag/testing-vault

https://testingvault.bandcamp.com/

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