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Recensione: Rome "Parlez Vous Hate?"




Sulla prolificità di Rome credo non vi sia più nulla da aggiungere a quanto già (da tempo) detto. Con la media di un album all’anno, quasi non si riesce ad assimilare completamente un disco di Jerome Reuter che è già tempo di ascoltare il nuovo. Altro elemento già noto ed oggi ribadito, è la sua versatilità, unita alla capacità di mantenere i suoi dischi su alti livelli qualitativi, sia che si muova in ambiti prevalentemente “marzial-neofolk” come i precedenti “Le Ceneri di Heliodoro” e The Lone furrow” (due capolavori da annoverare tra le gemme della sua vasta discografia), sia che rilasci un disco più “diretto” ed in buona parte prossimo ad una sorta di post-punk/combat-rock come il recentissimo “Parlez Vous Hate?”. Disco anche politicamente impegnato, che a quanto leggo ha pure urtato (chissà poi perché) la sensibilità (???) dei soliti “cacciatori di streghe”, pronti a dare del fascista anche a chi palesemente non lo è, ma del resto viviamo in tempi particolarmente cupi ed afflitti da un “politically correct” solamente presunto ed in realtà demenziale. Disco “diretto” dicevamo, come esemplificato soprattutto dalla prima parte dell’album, in cui troviamo la title-track, “Born in the E.U.” (sorta di cover del brano di Bruce Springsteen) e “Death from above”, brani “immediati”, dal piglio rockeggiante e dai testi graffianti, mentre “Panzerschokolade” vira invece su oscuri sentieri “industriali” già battuti da Rome in diverse occasioni. Si torna alle ballate con le ottime “Toll in the Great Death” e “Feral Agents”, forse i due brani che preferisco, unitamente a “Blood for all”, quest’ultima è preceduta da “You owe me a whole world”, brano dal titolo che dice già tutto, atto di denuncia verso … (ognuno completi la frase con chi ritiene più opportuno). “Alesia” è l’ennesima deliziosa ballata malinconica e disillusa del disco, chiuso dalle atmosfere “minimal-industriali” di “Fort Nera, Eumesville”. Non era semplice dare un seguito ad un colosso come “The Lone furrow”, ma Jerome Reuter ci è riuscito, battendo strade diverse da quel disco e da buona parte della sua precedente produzione, con un album che, almeno per quanto mi riguarda, è cresciuto ascolto dopo ascolto, rivelandosi l’ennesimo centro di un artista che non sbaglia un colpo! Voto: 8/10 (Recensione a cura di Giorgio Brivio)


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